
In questo breve articolo racconterò le storie di due italiani che vivono all’estero.
Ascolteremo (simbolicamente) la loro voce e attraverso la loro voce la storia, il vissuto, le emozioni e i sentimenti legati all’espatrio.
I loro nomi saranno sostituti con nomi di fantasia per tutelare la loro riservatezza.

Nadia, 28 anni
- Quando ti sei trasferita e perché?
A Gennaio del 2018 mi sembra. Mi sono trasferita perché non sono brava a fare i concorsi, non avevo voglia di studiare per andare a lavorare lontano da casa. In più stando insieme ad Aldo dovevamo trovare un posto che fosse una via di mezzo, non potevamo stare nei nostri paesi per la mancanza di lavoro e poi dovevamo trovare una via di mezzo, nessuno dei 2 poteva stare a casa. Avremmo dovuto scegliere tra il mio paese e il suo. Il Nord non lo abbiamo considerato perché dovevamo fare dei concorsi anche là, poi fin dall’università pensavamo di venire qui. Per me il concorso era troppo stressante, avevo ansia, poi pensavo “Aldo è bravo, lui entra e io no, che facciamo?”. Qui (In Inghilterra) ti assumono con un colloquio di lavoro. Il concorso per me è qualcosa di assurdo, se mi facessero domande di infermieristica ok, ma domande di altri settori zero. Nella nostra scelta, inoltre, ci ha aiutato il fatto che ci fossero amici di Aldo che ci parlavano positivamente dell’estero.
- Quanti anni avevi?
25
- Con quale lavoro hai cominciato? Adesso cosa fai?
Con un altro lavoro, OSS i primi due anni perché dovevo imparare la lingua e passare il test di inglese difficilissimo. Felice di aver fatto questi 2 anni. I primi 2 mesi sono stati duri; studi inglese a scuola ma qui è diverso. I primi 2 mesi piangevo perché a lavoro non capivo niente, mi sentivo in una bolla, pensavo “non ce la farò mai, nessuno mi capisce e io non capisco loro”. Io sono stata fortunata perché il mio team era pieno di persone che venivano da altri paesi e sanno quanto è faticoso, quindi sono stati comprensivi. Adesso sono infermiera, sono passata ad un livello superiore e faccio quello per cui ho studiato.
- Come mai hai scelto questa nazione e questa città?
Avevamo preso in considerazione anche la Germania ma il tedesco non lo avevamo mai studiato, l’inglese lo studi a scuola e poi degli amici ci hanno parlato delle loro esperienze positive in Inghilterra. La città è stato un caso, avevamo avuto due proposte, una isoletta isolata e poi Oxford, vicino a Londra, una città abbastanza sicura; ci siamo documentati e ci siamo decisi per Oxford
- Eri da sola o con qualcuno?
Ero con il mio compagno di vita, Aldo, da sola non sarei mai partita. Io ho sempre avuto bisogno di una spinta, di qualcuno, anche un’amica che mi spingesse a fare le cose. Anche se qui è pieno di ragazze che partono da sole ma io non lo avrei mai fatto.
- Come sono stati i primi mesi? Come ti sei sentita?
Da una parte ero eccitata perché era tutto nuovo, di mettermi alla prova con la lingua e la carriera. I primi 2 mesi sono stati tosti, facevamo corsi di inglese con altri ragazzi italiani e ci confrontavamo, vedevi che eravamo tutti nella stessa barca.
- Come è stato il tuo rapporto con la lingua, il cibo, il clima, i luoghi e gli abitanti del posto?
Con gli abitanti mi sono trovata bene perché sono amichevoli, i luoghi sono diversi dai nostri, all’inizio sei curiosa di scoprire i nuovi posti. Il cibo è stato uno shock perché è diverso però i primi mesi andavamo spesso a mangiare fuori, ti stupisce che hai tanta scelta e scopri nuovi tipi di cucina, non solo quella inglese; vedi che in ogni angolo c’è per esempio il thailandese, il cinese o quello che è. C’è più scelta di quello che trovi in Italia. In Italia il cibo è soprattutto italiano, non ti viene da scoprire nuove cucine perché pensi che il cibo italiano sia il migliore.
- Cosa è successo poi?
Mi sono adattata alla fine, adesso mi trovo bene, posso dire che… non so se sogno di rimanere qui. Non so se tra dieci anni sarò ancora qui, non lo so. Però mi sono adattata: ho la mia routine, i miei luoghi preferiti, non soffro più come all’inizio
- Oggi come ti senti?
Diciamo che se guardo al passato sento di aver superato tante difficoltà che sono comuni quando vai a vivere all’estero. Dico “ce l’ho fatta”, adesso sono tranquilla, la cosa più difficile è stata la lingua, all’inizio mi stressavo e stavo male, adesso ci rido su. Adesso sono più sicura di me stessa e penso di avercela fatta
- Ci sono stati dei sogni che senti significativi nel tuo primo periodo all’estero e oggi cosa ti capita di sognare?
Una cosa che è arrivata dopo, che tutti dicono che ti accade quando ti sei ambientato, è di sognare nella lingua del posto. Io sogno sempre una bambina; la mia analista ha detto che quella bambina sono io, che manco da casa e che mi manca la mamma che mi coccola. Prima lo facevo spesso, spessissimo. Adesso non più, adesso nei miei sogni questa bambina è Billo, il mio cagnolino.
- Hai sentito bisogno di aiuto? Nel caso di una psicoterapia come pensi ti abbia aiutato?
Si, prima si, da morire. È stato il primo o il secondo anno, non ricordo, ho fatto terapia per un anno. Mi ha aiutato a darmi più sicurezza in me stessa e adesso ho dei mezzi nell’affrontare i problemi, le mie ansie e le mie paure. So da dove scaturiscono e so come affrontarle. Secondo la mia analista questi problemi li porto con me da sempre e sono riaffiorati con questa separazione che ho avuto dalla mia famiglia di origine, una separazione così drastica.
- Senti di aver realizzato un sogno o ne hai degli altri?
Più che aver realizzato un sogno sento di essere felice di quello che ho e della piccola famiglia che ho creato qui e ho fatto tutto da sola senza avere il supporto della famiglia vicino che ti renderebbe la vita più facile. Altri sogni non so, non era il mio sogno diventare una infermiera e non lo è mai stato ma non mi dispiace farlo, mi piace il mio lavoro. Avevo in mente un’altra carriera, quando avevo 15 o 16 anni ma poi ho capito di dover essere più realistica. Volevo lavorare nella moda, fare la giornalista di moda, però diciamo che i miei “mi hanno riso in faccia”. Ho abbandonato totalmente questo sogno. Dovrei fare un percorso di studi totalmente diverso da quello che ho fatto ma adesso la moda è il mio hobby, leggo un sacco e mi documento.
- Come ti immagini il tuo futuro? Hai mai pensato di tornare in Italia?
Non me lo immagino diverso da questo presente ma ho l’incognita su dove sarò, se tornerò in Italia o se rimarrò qui. Comunque non me lo immagino diverso, forse una casa più bella e mia. Però è difficile in un paese straniero pensare al futuro, perché c’è sempre questa ambivalenza, sarò qui in o in Italia? Vedo sempre questa nebbia. Quando penso all’Italia è “50 e 50”: 50 vorrei stare qui e 50 vorrei tornare. Perché per me il lavoro è super fondamentale e qui mi trovo veramente bene, ho molte possibilità di crescita e di fare carriera. La parte lavorativa è super eccitante. Però come livello di vita in Italia si vive meglio, come clima e cibo e sei più vicino alla famiglia; anche se non andrei più a vivere al Sud nel caso in cui tornassi in Italia.

Aldo, 32 anni
- Quando ti sei trasferito e perché?
Mi sono trasferito a Gennaio 2018 mi sembra e mi sono trasferito per lavorare qui, ai tempi avrei voluto fare un’esperienza in Inghilterra, anzi fin da piccolo e ho unito l’utile al dilettevole. Poi io e la mia compagna, Nadia, dovevamo farlo per forza perché in Italia avremmo vissuto in due città diverse. In Italia lavorare nella stessa città da infermieri è complicato mentre qui è semplicissimo. Dovevamo farlo per stare insieme ma anche da single lo avrei fatto, mi piaceva come idea.
- Quanti anni avevi?
Non ricordo, tre anni e mezzo fa, 28 anni credo.
- Con quale lavoro hai cominciato? Adesso cosa fai?
Ho cominciato come assistente infermiere, come OSS diciamo e adesso sono infermiere ferrista/strumentista.
- Come mai hai scelto questa nazione e questa città?
La nazione perché quando scegli di andare all’estero come infermiere la scelta è tra Inghilterra, Germania e Olanda. In Inghilterra ci sono stato spesso e la lingua la trovavo meglio delle altre, le altre opzioni non le ho considerate più di tanto. Abbiamo pensato che in Inghilterra sarebbe stato più facile per la lingua.
- Eri da solo o con qualcuno?
Ero con Nadia, sono partito con lei; i recruiters hanno permesso a noi e altri italiani (e non solo) di trovare il lavoro là e l’ospedale ci ha offerto una cifra per partire, un corso di lingua gratis e l’affitto della casa il primo mese.
- Come sono stati i primi mesi? Come ti sei sentito?
I primi mesi sono la cosa più difficile: è difficile capire, parlare, perdi il filo del discorso e ti chiudi. Per me è stato più semplice perché era un’esperienza che avrei tanto voluto fare, volevo fare la scoperta di un posto nuovo, conoscere un’altra cultura; qui parli con gente di tutto il mondo. Qui in ospedale siamo tutti stranieri, ho conosciuto persone da tutto il mondo. In Italia in ospedale sono tutti italiani, qui abbiamo conosciuto gente che arriva da ogni parte del mondo. Però i primi mesi hai lo shock culturale, soprattutto linguistico, non riuscivo ad esprimermi come volevo, non capivo niente, dovevo chiedere spesso di ripetere. Tutti dicono che l’inglese sia facile ma non è così, è una lingua abbastanza complicata. Io cercavo di mettermi anche nei panni di chi è venuto solo per lavoro, chi per esempio non avrebbe voluto cambiare paese, doveva essere davvero difficilissimo così. Già lo era per me che volevo stare qui, molti italiani del mio gruppo, infatti, non ce l’hanno fatta, sono tornati indietro. A me ha aiutato molto avere una persona di supporto con me, la mia compagna.
- Come è stato il tuo rapporto con la lingua, il cibo, il clima, i luoghi e gli abitanti del posto?
Il rapporto con le persone sinceramente mi è piaciuto tanto, preferivo stare con gente di altri posti più che con gli italiani perché volevo conoscere gente proveniente da altri luoghi, mi affascinavano e mi affascinano le differenze culturali, mi piace passare tempo con persone che arrivano da tutto il mondo. Qui con il cibo è difficile, all’inizio era difficile per esempio fare la spesa, il supermercato è uguale in un certo senso ma è diverso, non so spiegare come, ti devi abituare a trovare la roba che cerchi, per esempio l’ultima volta che siamo andati abbiamo avuto problemi a trovare lo zafferano. La lingua è tosta, anche se guardi tutte le serie del mondo in inglese la lingua non è quella, è “sporchissima”, ci sono accenti diversi, ti ci devi abituare. Qui parlano con accenti diversi, alcuni boh, pare che lo facciano apposta, so che non è così ma è difficile comprenderli. Anche se le parole sono tutte uguali quando le persone parlano con un tono di voce diverso sembra che parlino un’altra lingua. La cosa più difficile è davvero la lingua per me, più che il cibo, di cui si lamentano molti. Anche con il clima è stato difficile, totalmente diverso rispetto a quello del sud Italia; per chi è abituato al caldo è dura.
- Cosa è successo poi?
Una grande difficoltà è stato l’esame di lingua e io ci ho messo un casino, un anno e mezzo. Uno scoglio molto duro, un esame difficile. Prima c’era un esame soltanto e l’ho fatto 2 volte, difficilissimo, ancora oggi non so se riuscirei a passarlo nuovamente. Adesso ne esiste uno più semplice che ho provato e superato dopo altri 2 tentativi. Quello difficile è stato davvero stressante, l’esito negativo lo senti come un fallimento e ti senti frustrato, specialmente quando pensavi di potercela fare. Quel momento è stato davvero frustrante, tu sei un infermiere e sei costretto a fare un altro lavoro a causa di questo esame. Mi dava fastidio il fatto che qualcuno arrivato prima dell’obbligatorietà di questo test parlasse peggio di me e che potesse fare il mio lavoro.
- Oggi come ti senti?
Generalmente bene, ovviamente ci sono i problemi della vita che ci sono in generale, le preoccupazioni per i genitori lontani per esempio. In generale come professionista mi sento realizzato. Io non sono appassionato di infermieristica, mi piace la chirurgia. Qui mi hanno dato la possibilità di specializzarmi in una cosa che mi piace, mi fanno fare quello che mi piace, mi pagano bene. In Italia non avrei mai potuto farlo, neanche in 30 anni di carriera. In Italia la sala operatoria è una “setta”. Qui ho solo chiesto al colloquio iniziale di poter lavorare in questo ambito. Mi hanno chiesto cosa avrei voluto fare e mi hanno permesso di farlo. Ti senti valorizzato come professionista, ci tengono alla tua salute mentale. In Italia sei un numero e “carne da macello”. Qui ti danno una sensazione di umanità, il lavoro in ospedale è un lavoro di risorse.
- Ci sono stati dei sogni che senti significativi nel tuo primo periodo all’estero e oggi cosa ti capita di sognare?
Io ho difficoltà a ricordare i sogni. Quelli del primo periodo proprio non me li ricordo. Oggi sono più a sfondo familiare, con la mia famiglia di oggi. Di recente ho sognato di essere qui in Inghilterra, guidavo su un’autostrada gigantesca, che sembrava infinita sia di larghezza che di lunghezza, sia nei lati che davanti, ed era in discesa. Ero in macchina con Nadia e alcuni amici che vivono in Inghilterra. Andavo veloce e la macchina non frenava più, non aveva più i freni e non poteva fermarsi. Non avevo niente davanti, non c’era un muro su cui schiantarsi. La sensazione di perdere il controllo è stata inquietante, di non avere un freno, specialmente in questa autostrada in discesa.
- Hai sentito bisogno di aiuto? Nel caso di una psicoterapia come pensi ti abbia aiutato?
Io onestamente non ho sentito di andare in terapia qui, la mia vita andava così veloce, come se non avessi il tempo, ma in realtà avrei potuto farlo. Avevo la sensazione che si andasse troppo veloce. I primi 2/3 anni non avevo il tempo di pensare, essere in un paese nuovo mi stimolava, essere da una parte che non è la tua casa. La mia terapia forse è stata venire qui, mi sento meglio da quando sto qui, sono più calmo, mi sento meno agitato.
- Senti di aver realizzato un sogno o ne hai degli altri?
Si, nel mio settore quello che volevo fare lo sto facendo. Il mio sogno era lavorare in sala operatoria. Mi piacerebbe ancora imparare altre cose, in sala operatoria il settore è vasto, posso imparare tantissime cose, il tempo ce l’ho. Il sogno nel cassetto è cambiare continente, mi piacerebbe fare una esperienza in Oceania, Nuova Zelanda o Australia, anche per qualche anno ma è un po’ lontano.
- Come ti immagini il tuo futuro? Hai mai pensato di tornare in Italia?
Ogni tanto ci penso ma non vorrei tornare al Sud. Che so, forse in futuro vorrei stare da qualche parte al Nord: Milano, Bologna… uno di questi posti. Io non penso al futuro, mi piace vivere alla giornata, boh… sono positivo per ora, immagino la mia vita con positività, se mi succedono delle cose brutte mi incazzo per poco tempo e poi mi viene naturale tornare ottimista. Prima pensavo sempre negativo. Ho fatto un percorso di psicoterapia in Italia anni fa (che sento di non aver ancora concluso) e mi ha dato un input importantissimo. Sono passato dall’essere negativo al diventare ottimista. Io a 22 anni pensavo di essere vecchio, di non poter fare niente, dopo paradossalmente mi sono sentito più giovane. La pressione che sentivo prima non mi faceva fare niente, dovevo per forza fare qualcosa, non potevo fare niente e questa pressione era talmente forte da impedire di farmi fare qualsiasi cosa. Adesso sono tranquillo, sento di avere tempo. Non so se sia giusto o sbagliato ma per ora è così. Mi sento più aperto alle possibilità. La terapia mi ha aiutato, mi tenevo tutto dentro prima, sono stati 6 mesi soltanto ma intensi. La mia terapeuta mi ha ascoltato, così mi ha aiutato tantissimo; è stata una esperienza bellissima che mi ha dato davvero l’input per cambiare, mi sono sfogato davvero tantissimo e quello switch mi ha permesso di fare un passaggio, se non lo avessi fatto probabilmente sarei ancora quella persona negativa che ero prima.
Io sono emigrata nel 1966..
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La ringrazio per il suo commento e le auguro una buona giornata
CS
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